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darthefrem — L'opera di bene
Published: 2004-06-12 20:13:51 +0000 UTC; Views: 388; Favourites: 4; Downloads: 60
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Description - Scusa, mi puoi dare una mano?
- Cosa?
- Devo salire sul marciapiede ed è un po’ troppo alto, non ci riesco da sola. Mi potresti aiutare?
- M-ma certo.
Accipicchia se è imbarazzato. Forse era meglio se lo chiedevo al suo amico.
- Cosa devo fare?
- Fai leva, appoggia le ruote davanti al gradino e poi fai leva di nuovo. Ce la fai?
- Sì, sì.
Ringrazio e sgommo via: sono in ritardo, come al solito, ed è meglio che mi sbrighi un po’.
In dieci minuti arrivo al solito posto, in via de’ Calzaiuoli. Non sono l’unica ad essere in ritardo, a quanto pare; lui non c’è. Bofonchio qualcosa di ben poco delicato e mi metto ad aspettarlo, cosa che odio. Specie se in mezzo alla gente, mi fa sentire osservata. Tutti mi danno un’occhiata, in un modo o nell’altro si accorgono di me: c’è chi guarda la povera paralitica con aria da samaritano, chi mi fissa stupito, chi gira la testa dall’altra parte.  Magari un giorno un turista giapponese mi farà una foto.
Voglio così bene a Luca perché quando mi guarda guarda me e basta, non quello su cui sono costretta a poggiare il culo. Il “poveraccio”, tra di noi, è lui: io sono quella saggia e ragionevole e il mio amico è il punkettaro senza regole che si lascia curare. Mi fa tenerezza, con quel ciuffo biondastro che gli cade sulla faccia e con gli occhi scuri come voragini. Ok, fargli fare una doccia è un’impresa e telefonargli è impossibile, ma lo apprezzo per quello che è.
Quando sorride è come se gli si accendesse qualcosa dentro – i suoi occhi diventano stelle e i suoi denti sembrano un po’ meno malconci. Si trasforma in un bambino, il bambino con i genitori divorziati che, diventato ragazzo, è scappato di casa ed ha iniziato a vomitare l’anima per le strade e a dormire nei sottopassaggi. Da solo, finchè non ha incontrato me. Adesso le cose sono cambiate.
Abbiamo iniziato a curarci a vicenda: lui non deve più elemosinare per vivere e quando ne ha voglia può dormire in un letto vero, io posso occuparmi di qualcun altro e sentirmi un po’ meno d’impaccio. Mica è poco.
Eccolo che arriva, i soliti due baci sulle guance e via, ci dirigiamo verso il Lungarno. Siamo davvero una coppia niente male. Due “rifiuti della società”, direbbe lui: io non mi sento affatto un rifiuto. Volete mettere il mio fascino fragile, maledetto e bohèmien con quello delle turiste americane?
Glielo dico e ride, ma è una risata un po’ strana. E’ un bel pezzo, ormai, che le due grandi stelle non si fanno più vedere e che i suoi incisivi restano gialli, ma forse è solo una mia impressione. Almeno spero.
Si mette dietro di me e mi spinge, “avrai le braccia stanche”. Non sono stanca, ho due bicipiti stile Mike Tyson a furia di farli lavorare tutto il giorno al posto delle mie gambe e Luca lo sa. Non si era mai comportato così, c’è qualcosa che non va sul serio. Non è solo una mia impressione, allora.
Sul fiume oggi svolazzano pigri una ventina di gabbiani, mamma aveva ragione a dirmi che vederli è sempre un brutto segno.
- Scendiamo e andiamo a chiacchierare vicino agli argini, OK?
Ho un bel groppo in gola, annuisco.
Mi solleva, ma non come al solito, lo fa come facevano gli infermieri caritatevoli dell’Humanitas qualche mese dopo l’incidente – i due volontari cinquantenni che volevano compiere un’ “opera di bene”, che mi guardavano come si guarda un rottame senza speranze e magari lasciavano i genitori da soli in un istituto squallido. Lo fa come quegli stronzi con la coscienza sporca.
Magari il mio istinto femminile la sta sparando grossa, però. Incrocio le dita.
- Ti devo parlare.
Come non detto.
      -     Vedi, io… Io non riesco più a stare qui, ad avere a che fare con te... Questa città mi uccide. Capiscimi, non ce la faccio proprio.
- …
- Io sono giovane, ho una vita mia, non ce la faccio più a starti dietro.
- Non te l’ho mai chiesto.
- Devo farlo lo stesso, non puoi camminare, non potrai mai avere figli, non potrai mai avere una vita normale…
Ettipareva, cazzo.
- Vivi in una casa occupata, non hai un lavoro e finora ti ho mantenuto io. Non mi sembra che tu abbia così tanta voglia di una vita normale.
- Ma…
- Vattene.
- Lasciami spiegare….
- Tanto mi diresti solo balle. Fila.
- Ho trovato una ragazza.
- …ah.
“ah”. Imbecille che sono, se ne sta andando, dovrei dirgli qualcosa…
- Ti porto in stazione, dai. Non ti posso mollare qui, poi come le risali le scale? Mi dispiace, lo sai. Mi dispiace tanto, mi sento una merda.
- Poverino…
- Non rendere le cose così difficili. Ti ho aiutata, in questo periodo. Tu mi hai dato una mano, siamo stati bene. Almeno salutami. Ti chiedo solo questo.
Ma che cazzo gli è preso?
Ho la nausea, lo stomaco in subbuglio. Non parlo. Per strada vado più veloce che posso, le braccia mi fanno male e lui fa fatica a seguirmi.
Aspetta insieme a me il primo treno per Bologna. Biglietto di sola andata, ho insistito per comprarglielo con i miei soldi.
- E’ normale, quella che vai a trovare?
Silenzio imbarazzato. Volevo fargli del male e ci sono riuscita.
- E’ Alice, quella che ti ho presentato il mese scorso?
- Come hai fatto a capirlo?
- Sei cambiato, da quando vi siete conosciuti al Social Forum.
Muto.
- Spero solo che ti tratti come ti ho trattato io.
Stronzo. Perché sto mentendo? Gli ho dato tutto quello che mi era rimasto. Lei è carina, bionda come lui, ricca, con due gambe da urlo. Anche se dice di essere alternativa e comunista e non sa neppure chi è Stalin o chi sono i Clash, è bella.
Non se lo merita, però.
Anzi sì, ripensandoci. Insieme, fanno un bel duo di falsi bellocci e sfruttatori. Lei campa di rendita dall’azienda di papà e poi sputa nel piatto in cui mangia, lui mi spreme come un limone e poi mi butta via. Bene. Complimenti.
E io sono rimasta senza niente, no? Senza macchina, senza madre, senza poter camminare. Questo cinque anni fa, in trenta secondi netti. Adesso, sono pure senza amici. Doveva andare così, me lo dovevo immaginare. Almeno, lui avrà una vita migliore della mia. E’ bello, piace alle ragazze. Non è giusto che viva da solo, ha bisogno di compagnia. Una compagnia migliore di quella che gli posso dare io, un po’ di tranquillità. La pace, quella vera, quella senza fine. Ne ha diritto, dopo una vita in mezzo al disprezzo.
      -    Luca?
- Sì?
- Scusami. Sono stata un’egoista.
- Ma no, figurati… io… dovevo dirtelo prima. Sono un idiota.
- Fai bene a trasferirti. Fai bene, capito? Non pensare a me, mi so arrangiare benissimo da sola. Curati, piuttosto.
Le stelle sono tornate, più grandi di prima. Mi abbraccia e mi ringrazia, resto rigida come un manichino. Deve essere grottesco, visto dall’esterno.
Sta arrivando il treno, mi saluta con un patetico bacio sulla fronte.
Com’è strano, il mondo, eh? A volte basta così poco, per cambiarti la vita. Un coglione che passa col rosso a novanta all’ora e accartoccia la tua Panda con la sua Mègane. Una presentazione. Una spinta.
Una spinta, leggera leggera, appena accennata – in mezzo alla calca, chi se ne può rendere conto? –
La forza non serve, è una questione di equilibrio. Non ci vuole molto per perderlo. Paf, fatto, ciao Luca. Ti voglio bene, fratello.
Il tonfo, le strida dei freni, il grido di una ragazza sui diciannove
Aiuto,si è buttato sotto il treno!
Le sirene delle volanti della pula e quelle delle ambulanze.
A volte basta così poco, per far finire una vita.
Mi hanno lasciata andare senza farmi troppe domande. I poveri paralitici non ammazzano nessuno, figuriamoci. Porelli. Mi hanno persino accompagnata a casa, i pulotti.
Un punkabbestia si è ammazzato. Non c’è bisogno di sprecare tempo a indagare, nessuno ama i rifiuti della società.
Che stupida, avrei dovuto pensarci prima.
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Comments: 4

lucavibes [2004-06-17 10:35:33 +0000 UTC]

questo pezzo devo averlo gia' letto....

e' sempre una botta comunque

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ofelia [2004-06-13 09:04:37 +0000 UTC]

beh lo sapete già che è mi piace tantissimo questo racconto perciò lo rimetto ancora nei
una mini description ci andrebbe però eh?

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darthefrem In reply to ofelia [2004-06-14 15:30:57 +0000 UTC]

Non saprei proprio cosa scriverci

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mariko1 [2004-06-12 20:20:26 +0000 UTC]

A sisi, questa è proprio una bella cosa.

Buon lavoro, i miei complimenti.

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